martedì 15 luglio 2008

Omaggio alla poesia di Pasquale Martiniello

Martiniello e la poesia del Sud

In questi giorni, e durante il mese di ottobre e buona parte di quello di novembre e dicembre, si discuterà, in Irpinia, di poesia, di poesia del Sud, e di come questa poesia possa divenire concretamente oggetto di studio, di riflessione, nelle nostre scuole, in quelle della provincia, in quelle del Sud.

La Scuola, come l'Università, può divenire concretamente il luogo deputato per una riscoperta reale, concreta, di una produzione poetica troppo spesso tenuta ai margini, troppo spesso snobbata, esclusa. Si potrà in tal modo realizzare l'auspicio che più di cinquant'anni fa Salvatore Quasimodo auspicava, ovvero la realizzazione di una "carta poetica del Sud".

In questo ambito, un ruolo può essere svolto anche dalle istituzioni, dalla provincia di Avellino, ad esempio, dalle Amministrazioni comunali, dagli Istituti superiori, dai Dirigenti scolastici e dai Docenti, quindi dagli alunni, che potrebbero riappropriarsi di una loro storia e di una loro identità partendo dalla poesia, partendo da quei poeti militanti, che hanno raccontato il Sud, da quelli più vicini a noi, che ne rappresentano la difficile transizione verso società più moderne e vivibili. Forse, anche in questo modo, si progetta un nuovo Sud, ovvero realizzando nuovi protagonismi, rendendo i giovani protagonisti e consapevoli delle difficoltà che comporta il vivere qui, ma anche della condivisione di utopie che possano condurci al di fuori della crisi attuale.

Insomma, recuperare una stagione meridionalistica ormai relegata ai libri di storia e di politologia significa discutere dei problemi reali del Sud e dell'Irpinia tra la gente, anzi tra le persone e tra i giovani che rappresentano il nostro futuro.

I giovani, in questi giorni di discussione sulla poesia che si svolgono con il "Festival della poesia del Sud", immaginano un nuovo protagonismo, che significa avvicinarsi alla poesia in modo concreto, scrivere poesie, commentarle, scrivere articoli, realizzare filmati, mostre fotografiche, e addirittura inviando e-mail di protesta ai giornali che dedicheranno una scarsa attenzione alla poesia del Sud. Anche questo è un modo buono per far sentire dal basso la voce del dissenso.

Un libro dedicato a Pasquale Martiniello

Ma indubbiamente, perché la poesia del Sud acquisti finalmente una visibilità seppur minima occorre innanzi tutto che si realizzino strumenti di lavoro e di studio moderni e capaci di guidare alunni e docenti nelle pieghe della poesia, e al contempo di suscitare nei media quell'interesse che manca.

In tal senso, un unicum nella storia della poesia irpina, è rappresentato dal volume dedicato alla produzione poetica del poeta mirabellano Pasquale Martiniello, uno dei decani della produzione in versi in Irpinia, autore insigne prolifico e autorevole, la cui voce ha affascinato moltissimi critici e da ultimo Antonio Crecchia, che ha appunto firmato il ponderoso volume L'evoluzione poetica spirituale ed artistica di Pasquale Martiniello. Si tratta di un'opera minuziosa, accuratamente costruita, che ricostruisce l'evoluzione dell'autore lungo i trent'anni e più di scrittura poetica, nel corso dei quali sono state edite ben ventidue sillogi, alcune delle quali veri e propri capolavori, paradigmatici della poesia del Sud.

Martiniello, occorre ricordarlo, ha dedicato buona parte della sua vita alla poesia. La prima raccolta risale al 1976 (Testimonianze irpine), ma in realtà il poeta aveva scritto versi sin dalla giovinezza: buona parte di questa produzione precedente, tuttavia, è andata dispersa irrimediabilmente. Dal 1976, comunque, Martiniello ha intensificato sempre di più il suo 'lavoro poetico', e negli ultimi anni, ossia a partire dal 1995, ha pubblicato raccolte poetiche a cadenza almeno annuale.

Crecchia, con dovizia di particolari e sfruttando tutta la ricca bibliografia dedicata all'autore, ha illustrato questa vasta produzione poetica, la cui prima fase (1976-1980) ha al centro l'Irpinia. Del resto, lo chiarisce da subito il titolo della prima raccolta. In questo torno d'anni il poeta descrive la sua terra, e rievoca un passato più o meno lontano, i fiumi (con toni ungarettiani), le credenze religiose, gli affetti, la fame, la fatica, gli stenti, la guerra, il destino maledetto dell'Irpinia, le donne, l'emigrazione.

In queste sillogi, tra l'altro, comincia ad essere consistente il 'dialogo', che non si interromperà mai, con Dio, e la condanna della triste realtà del Sud. A mo' di esempio, cito l'incipit della poesia che dà il titolo ad una delle raccolte, "Esodo": "Sud / purgatorio di antichi / sospiri / e stanche penitenze. // Offertorio di mésse e ceri / ai santi boss-tutelari. f Sì va da sempre / con barilotti colmi d'acqua / di cisterna / e vino in borraccia, / scorte varie in tanti sacchi / e semenze nelle stive delle tasche ... ".

Con Lacrime sulla soglia (1982) ha inizio la seconda stagione della poesia di Martiniello. La prima parte della raccolta, infatti, presenta uno stile ancora piano e semplice, mentre la seconda – Terremoto nell'anima (alle vittime del 23 novembre 1980) – si caratterizza per uno stile nuovo, per metafore e immagini cupe, dolorose, violente: ad esempio, "Un branco / allupa" (La follia), "la terra s'intigra" (Sulla guancia). Opportunamente, Giuseppe D'Errico, nella prefazione, annota: "Il Poeta usa le cose come simboli di un discorso tutt'affatto umano, e i sentimenti cala, per così dire, in un realismo magico e tragico insieme. Ne nasce uno stile aspro ed essenziale, in cui il dialogo segreto con le cose e con la vita si fa vibrante di immagini e le parole sono scandite con lucida intelligenza espressiva, ma non isolate e disperse".

Rispetto alla prima stagione, l'altra novità è rappresentata dall'ampliamento – per così dire – del panorama di riferimento: la raccolta inaugurale era legata all'Irpinia (significativo è il titolo "Testimonianze irpine"), con quelle del secondo periodo affronta il "problema Italia" nel suo complesso ("Vipere nello stivale"), o amplia ulteriormente l'ottica (Il lamento di Gea, 1989). Con L'ora della iena (1993) si chiude questa seconda stagione: i toni diventano ancora più cupi e pessimistici, il poeta esprime adesso il suo dolore per un mondo "di mostri e di iene" che "dilaniano la sua anima". Questo libro – specchio del clima di Tangentopoli, che dominava allora in Italia – testimonia anche la crisi dell'intellettuale, che esprime per la prima volta in modo pieno la sua indignatio dinanzi ad una classe dirigente famelica e corrotta.

Con il 1995 si apre la terza stagione della poesia di Pasquale Martiniello, il periodo della memoria e del culto del passato. In realtà, il motivo era già presente nelle sillogi precedenti, ma adesso, in particolare con un capolavoro nel genere (I canti della memoria), la rievocazione del passato viene collocata in uno spazio atemporale, che rappresenta anche una fuga dal mondo contemporaneo. Con acume, ha infatti scritto nella Prefazione Aniello Montano: "La lettura delle liriche di Pasquale Martiniello, I canti della memoria, ha l'effetto di trasportarci in un tempo e in un clima spirituale lontani, lontanissimi, dal mondo disumano e disgregato in cui viviamo, fuori dal nostro mondo roboante e turbinoso, tronfio e altezzoso, ma povero di umanità e di spiritualità". Più oltre, ancora acutamente, Montano cita Esiodo: in effetti, Martiniello può essere paragonato al grande poeta di Ascra per lo straordinario amore che prova verso la civiltà contadina.

La riflessione di Montano è condivisibile anche quando sottolinea come il poeta abbia voluto – allo stesso modo degli altri poeti della `linea meridionalista' – tentare la fuga dal mondo dei suoi avi, e come alla fine di questa fuga abbia desiderato il ritorno: "La fuga, Martiniello, l'ha realizzata. Ma, con il tempo, s'è accorto di essere rimasto legato a quel luogo e a quella cultura con una sorta di invisibile elastico.

Più egli fugge, più tende l'elastico, più e violentemente ritorna al luogo da dove era fuggito. E, per Martiniello questo riorno non è una punizione. È una speranza e un progetto, perlomeno ideale!"

L'ultima – per il momento – stagione della poesia di Martiniello è quella più pienamente satirica, indignata, "politica", barocca, e sperimentale, ed è inaugurata da I lunatici (1999). Opportunamente, proprio nella Prefazione a questo libro, Antonio Crecchia già aveva scritto: "Martiniello, a ben considerarlo, è una specie di Giano bifronte, con uno sguardo rivolto al passato, alla storia, alle civiltà letterarie classiche e moderne, al mondo dei valori etici tradizionali [...] e con un altro rivolto al presente, all'attualità, alla cronaca, alla quotidianità degli eventi, all'evolversi incontrastato dei mali cai3cerogeni del nostro tempo, che si prefigurano come programmati e veicolati da menti diaboliche e folli: una specie di maledizione planetaria che l'umanità non sa scrollarsi di dosso. Non vi è fenomeno sociale, politico o di costume che sfugga all'attenzione del Nostro: la sua riflessione tocca una tale messe di temi per cui è facile intuire il suo minuzioso lavoro di raccolta dei dati, ora fornitigli dalla memoria, ora dalla vita vissuta, ora dai più svariati mezzi di informazione".

Questa vena satirica, che ricorda Giovenale, è presente in Radici (2000), La vetrina (2001), Ossimori (2003), e si accentua ulteriormente in il Picchio (2003), La zanzara (2004) e i Ragni (2005), e quindi nelle ultime Occhio di civetta e Le faine.

Di fronte al disfacimento della società moderna, di fronte al regresso morale e alle piaghe di questo mondo corrotto e malato, Martiniello, paragonandosi al picchio, si autorappresenta in questo modo: " ... Io attizzo col verso acre / ragnatele di coscienze degradate / gli stucchi e í trucchi del políticare ...".

Martiniello poeta italiano

Inoltre, Crecchia raccogliendo tutta la bibliografia dedicata a Martineillo, rivela, qualora ve ne fosse stato bisogno, il carattere nazionale di questo autore, a cui hanno dedicato pagine di studio critci del calibro di Giorgio Bárberi Squarotti, Francesco D'Episcopo, Ugo Piscopo, Giuseppe Giacalone, Luigi Fontanella, Pasquale Maffeo, Alberto Mario Moriconi, Plinio Perilli ...

Insomma, Martiniello potrebbe essere uno dei poeti, che le scuole irpine potrebbero adottare, e così contribuire a realizzare quella "carta poetica", di cui il Sud ha bisogno e che anche Alberto Asor Rosa ha da molti anni auspicato.

FONTE;

http://www.literary.it/dati/literary/altri/levoluzione_poetica.htm

martedì 8 luglio 2008

Aeclanum. Scoperta archeologica.

RIEMERGE NEGLI SCAVI DI AECLANUM (AV) UNA STATUA MARMOREA
Segnalo l'ottimo sito delll'archeomail del gruppo archeoligico della Campnaia, senpre attento alle segnalazioni e sviluppi dell'archeologia.
"Potrebbe essere di un imperatore romano la statua marmorea rinvenuta, in questi giorni, ad Aeclanum, durante la campagna di scavo finanziata dalla «Sergio Tacchini» e condotta dalla Soprintendenza archeologica di Avellino-Benevento-Salerno. Il manufatto, che si presenta senza la testa e senza le gambe, risponde alle caratteristiche tipiche del periodo che si riferisce al II secolo dopo Cristo. A prima vista, si riconosce un mantello, che probabilmente doveva essere anche dipinto, e la posa, che è molto simile a quella di altre statue di imperatori romani. Sul braccio sinistro cade la toga, mentre il destro, che doveva essere elevato in alto, in segno di comando, sfortunatamente manca. Il responsabile della Soprintendenza, Pierfrancesco Talamo, non si sbottona in proposito rinviando ad ulteriori studi la individuazione del personaggio rappresentato. Anche l'archeologo Roberto Esposito, direttore degli scavi e scopritore della statua, preferisce non pronunziarsi. Quando gli viene fatto il nome di Traiano, non tradisce emozioni e ripete che saranno necessari altri accertamenti prima di dare un nome a quel marmo. Nei pressi della statua, è stata rinvenuta anche una fontana monumentale fatta di nicchie semicircolari alternate a nicchie rettangolari. Lo scavo, che resta in corso, condotto all'interno della cinta muraria dell'antica città irpina sulla via Appia, sta fornendo eccezionali testimonianze sulla storia di Aeclanum. Sta mostrando come doveva essere l'abitato in epoca tardo-antica. Nella zona di scavo, le abitazioni e le strade sembrano ricoperte da resti di pomici dell'eruzione del Vesuvio del 472 dopo Cristo. Se questo fosse vero, vorrebbe dire che già in quell'epoca la città era in fase di abbandono. Diventerebbe reale l'ipotesi che sia stata gravemente danneggiata dal furioso terremoto del 346 d.C. e successivamente rasa al suolo dal sisma del 375."